NAPOLI. «Odio la scuola: non mi hanno mai trattato bene». Matteo (nome di fantasia) ha 15 anni. È seduto nella caserma dei carabinieri della stazione di Cicciano dove deve spiegare al comandante Giuseppe Giudice perché ha dato fuoco all’asilo comunale del plesso Basile.
È un ragazzone. Alto 1.80, capelli corti, fisico imponente. Uno come tanti. Cresciuto in una famiglia normale – papà dipendente di un’azienda privata, mamma casalinga – che ha abbandonato la scuola senza mai cominciare a lavorare. Non proprio un’eccezione da queste parti. Anzi è quasi la regola. Amici, bar, calcetto, bocce. Nessun problema psicologico né altre patologie. Unico precedente: l’incendio appiccato nello scorso mese di aprile alla sua ex scuola, l’istituto professionale Leone-Nobile di Nola quando fu identificato e denunciato dai carabinieri.
Ancora una notizia negativa che vede come protagonisti adolescenti. Adolescenti “Cattivi” o “ribelli” dotati di una propensione alla violenza e alla cattiveria. Sembra proprio che a questa generazione non puoi dire un “NO” oppure non puoi richiamare che subito ti si rivolta contro. “Non mi trattano bene”, “Non mi capite”, “siete tutti contro di me” queste ed altre sono le frasi che dominano il linguaggio di un adolescente quando semplicemente cerchi di capire il perché di certe azioni più o meno gravi che siano. Il mondo degli adulti si pone domande ancora più drastiche quando notizie simili, o reati commessi da ragazzi vengono da famiglie “normali”, senza problemi di nessuna natura economica, morale o sociale che sia. Eppure oggi, sotto il vessillo di “non ho fatto mancare nulla”, si radunano forme di genitori delusi più da sé stessi che dai propri figli ribelli, fiaccati da battaglie perdute con una innata trasgressione.
Cosa fare dunque di fronte all’episodio trasgressivo che si trasforma in un comportamento antisociale? Quando i ragazzi decidono di utilizzare le proprie armi per far muovere il mondo intorno a loro, possono fare di tutto, arrivare alle conseguenze estreme dei loro comportamenti, sono disposti a rischiare ogni cosa. Per questo è importante avere le “armi” giuste di cui forse la più importante nell’arsenale dell’adulto è la traduzione del comportamento in simboli e parole. Tradurre il comportamento dell’adolescente a lui stesso e a chi lo circonda, come se si trattasse di una lingua straniera, significa riportare alla consapevolezza un’azione fondamentalmente cieca. Anche il gesto più impulsivo cela sempre un senso. Un normale adolescente, senza nessuna patologia, da un contesto familiare sano che un giorno decide di incendiare due scuole solo perché “non mi trattano bene” deve per forza farci riflettere sul disagio che spesso un ragazzo vive oltre al messaggio che ha voluto lanciare. Lavorando con ragazzi, scoprendo ogni giorno di più il loro mondo posso assolutamente confermarvi che, gli adolescenti difficilmente esprimono il loro disagio con le parole. Molto spesso inizi ad indagare o a scoprire il disagio proprio dopo qualche gesto estremo legato al loro corpo come anoressia, bulimia, autolesionismo o anche a gesti di violenza, rabbia, che molto spesso possono finire in abusi, omicidi, violenze contro cose o persone. In questo caso attaccare la scuola forse è sintomo di giustificare le proprie mancanze, o il non saper confrontarsi con la realtà che spesso mette in dubbio la propria preparazione ed intelligenza (con interrogazioni e verifiche) suscitando nell’adolescente un dolore nuovo ignoto forse anche alle passate generazioni. Infatti, molto spesso, i ragazzi hanno una grande abilità nel convincere i genitori, spesso complici, ad indire crociate contro insegnanti sempre troppo “parziali”, mai abbastanza comprensivi nei confronti del loro figlio. Questo atteggiamento è tipico di tutta la generazione degli attuali adolescenti, non solo nel contesto scuola e si può definire come un’ipersensibilità, una incapacità ad “ingoiare il rospo”, a tollerare le frustrazioni esistenziali. Il senso di profonda ingiustizia legato agli eventi frustanti è particolarmente evidente nella scarsa inclinazione dei giovani a riconoscere la propria responsabilità scolastica. Il cardine di moltissimi eccessi e delle trasgressioni adolescenziali sta nell’elaborazione di una risposta aggressiva che mira a difendere il rifiuto, che viene vissuto come un attacco da un altro che non capisce. Se si ascolta dai genitori la storia della bocciatura di un adolescente si scoprirà che nella sua vita c’è sempre almeno un docente che “c’è l’ha avuta con lui”, (il che può essere anche vero) che lo ha voluto fermare dal punto di vista scolastico ed esistenziale. Il disagio degli adolescenti richiede misure costanti di prevenzione, parole, fatti e un mondo più attento e più saggio di quanto non sia stato finora, per evitare che il malessere si trasformi come talvolta, raramente, accade, in un’azione da cui non vi è più un ritorno possibile.
Ricordiamoci sempre che nella vita di ognuno di noi, non solo dei ragazzi, esiste una “disposizione a fare del male”, una scelta sempre da fare tra il bene ed il male.
Allora l’Eterno disse a Caino: “perché sei tu irritato e perché il tuo volto abbattuto? Se fai i bene non sarai tu accettato? Ma se fai il male, il peccato sta in agguato alla porta e i suoi desideri sono rivolti a te; ma tu lo devi dominare”. Genesi 4:6-7. Invidia e gelosia portarono Caino ad un gesto estremo. Ma in questo caso l’Educatore per Eccellenza, il Genitore dei Genitori, riuscì a vedere il disagio di Caino, la sua angoscia e tristezza, il suo senso di rifiuto e gli offri la chiave per vincere: far vincere il bene e dominare il male e i suoi desideri che scaturiscono dal di dentro di ogni uomo! Caino fece la sua scelta. I ragazzi devono essere aiutati a fare la loro, a vincere i disagi e le paure. Noi come educatori e genitori siamo chiamati a fare le nostre, vedere le sofferenze dei ragazzi prima che sia troppo tardi.