La sindrome di Hikikomori: adolescenti chiusi in una stanza. #parte1

3 Marzo 2017
Posted in Dipendenze
3 Marzo 2017 Vincenzo Abbate

La sindrome di Hikikomori: adolescenti chiusi in una stanza. #parte1

La sindrome di Hikikomori: adolescenti chiusi in una stanza. #parte1

 Il disagio dilaga in Italia.

La porta chiusa, le tapparelle abbassate, le cuffie appoggiate sopra le orecchie, le dita che battono sulla tastiera del computer e lo sguardo che si distrae interagendo con immagini che sembrano inoffensive.

Questa è più o meno la condizione in cui vive un ragazzo adolescente che ad un certo punto della vita, dopo avere espresso numerosi segnali di fatica, chiude la porta della propria camera provando a cullare l’illusione di poter fare a meno dell’Altro. Non si ribella, non scappa di casa, non cerca di emanciparsi dalla propria famiglia. Al contrario va ad occupare, potremmo quasi dire blindare, un posto particolare all’interno della propria casa e famiglia. Da un lato c’è, esiste, continua ad avere un posto molto importante nella mente dei genitori. Dall’altro non c’è, viene dimenticato, messo da parte perché non prende parte attivamente alla vita della famiglia, vivendo da esiliato all’interno della propria camera-isola. Qualcosa, o qualcuno, sembra spingere il ragazzo al confino e da quella posizione all’adolescente risulterà quasi impossibile spostarsi. Inghiottiti dalla rete. Cosi ossessionati dalla seconda vita virtuale, tra chat, social network e giochi on line che i ragazzi possono rischiare di perdere la loro vita dietro lo schermo di un pc. Si chiama la sindrome di Hikikomori, una tremenda epidemia che sta portando tantissimi ragazzi ad essere risucchiati dalla loro vita digitale, mettendo a repentaglio quella sociale.

Il termine Hikikomori (1) (引きこもり? letteralmente “stare in disparte, isolarsi”, dalle parole hiku “tirare” e komoru “ritirarsi” è un termine giapponese usato per riferirsi a coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale, spesso cercando livelli estremi di isolamento e confinamento. Tali scelte sono causate da fattori personali e sociali di varia natura. Tra questi la particolarità del contesto familiare in Giappone, caratterizzato dalla mancanza di una figura paterna e da un’eccessiva protettività materna, e la grande pressione della società giapponese verso autorealizzazione e successo personale, cui l’individuo viene sottoposto fin dall’adolescenza. Il termine hikikomori si riferisce sia al fenomeno sociale in generale, sia a coloro che appartengono a questo gruppo sociale.

Per anni è stato considerato una questione tutta giapponese, una di quelle cose strane che fanno laggiù, come l’inchino, le cene seduti per terra ed altro. Molte di queste influenze proprio grazie alla tv e soprattutto alla rete mettono in comune un adolescente di Tokyo con uno di Napoli, passando per New York o Sidney, riducendo milioni di km con un click. Gli Hikikomori, cioè gli adolescenti, in particolare, che rifiutano il mondo e si chiudono in camera per non uscirne più per mesi, anni o addirittura per tutta la vita, adesso ci sono anche in Europa e in Italia.

“I primi casi italiani, sporadici e isolati, sono stati diagnosticati nel 2007, e da allora il fenomeno ha continuato a crescere e, seppure con numeri diversi da quelli giapponesi, a diffondersi”.

“Ad oggi non sappiamo con precisione quanti siano i giovani italiani che si sono ‘ritirati’. Le stime parlano di 20/30 mila casi, ma il fenomeno potrebbe essere più ampio. In Francia se ne contano quasi 80 mila, mentre in Giappone, dove il fenomeno è quasi endemico, si parla di cifre che oscillano tra i 500 mila e il milione di casi”.

Lavorando a stretto contatto con gli adolescenti ho conosciuto ragazzi che hanno sofferto o che comunque sono completamente dipendenti da videogames, internet e dal mondo virtuale in generale. Ragazzi che tendono ad isolarsi dal mondo reale ed entrare in quello virtuale con il rischio poi di arrivare ad un vero e proprio caso di hikikomori.

Grazie a Dio, oggi si inizia almeno a conoscere questo termine, ne stanno parlando sempre più spesso tv, giornali, programmi radiofonici, internet ecc. Sicuramente, un allarme sociale per l’italia è nato lo scorso maggio dopo il servizio delle IENE. Si sta iniziando a constatare una diffusione sempre più allarmante di questo fenomeno. Circa 4 anni fa, proprio nella città in cui vivo, Giugliano (NA), dove esercitiamo per la prevalenza le attività per gli adolescenti, ho avuto la possibilità di confrontarmi con un ragazzo “incatenato” da questa sindrome. La mamma, disperata per la condizione di suo figlio, mi contattò chiedendomi un consiglio, un aiuto per questo ragazzo. Era un caso diverso dal solito. Mi ritrovai a parlare con un adolescente di 18 anni, ma che da più di due anni ormai la sua UNICA uscita da casa era andare una volta al mese dal barbiere. Viveva letteralmente rinchiuso nella sua stanza. Costantemente in una zona di buio o penombra, dove l’unica cosa che portava luce era uno schermo di un pc. Aveva praticamente una vita virtuale. Viveva in un mondo creato all’interno di pochi metri quadrati. Vita sociale zero. Iniziammo a parlare, ma i suoi occhi erano fissi nel vuoto e spenti. Notai che aveva parti delle orecchie consumate, capii e poi mi fu confermato dalla madre, era dato dal costante utilizzo delle cuffiette da pc. Cercai di capire da dove veniva la sua influenza ed il suo stile di vita e lui mi mostrò, tra le tante cose, dei libri e dei fumetti di origine giapponese. Libri carichi di magia, stregoneria e leggende varie. Provai a fargli alcune domande, anche nei giorni a seguire, soprattutto per capire quali erano le sue passioni o attività in rete. La sua era una vera e propria vita virtuale, con giochi on line di cui lui stesso era il protagonista vivendo in una città fantasma, e soprattutto con chat e “amicizie” con persone che mai aveva visto dal vivo. Oggi, questo ragazzo, pare stia meglio ma questa esperienza ha segnato parte della sua vita.

Se è vero che in Italia la sindrome è ancora agli inizi è anche vero che non possiamo chiudere gli occhi e far finta che non esista.

Io credo, come sostiene anche il sito www.hikikomoriitalia.it che “presto o tardi l’hikikomori esploderà in ogni paese industrializzato, e non è una previsione pessimistica, ma l’inevitabile corso degli eventi. Sì, perché una serie di concomitanze sembrano favorire questo fenomeno:

  • la diminuzione della natalità: la crescita di famiglie con un solo figlio fa si che il bambino cresca sempre più spesso senza l’appoggio relazionale e umano di un fratello (maggiore o minore che sia) e, non di meno, crescono le possibilità che egli abbia una camera da letto tutta per sé nella quale isolarsi;
  • la diffusione delle nuove tecnologie: dalla tv a internet, fino ai nuovi social network, tanti nuovi strumenti per avere contatti con il mondo esterno senza doversi muovere dal proprio “rifugio”;
  • il benessere economico: i ragazzi di oggi spesso non sono costretti a cercarsi un lavoro, la famiglia è in grado di mantenerli e questi possono perdere il senso dell’autosufficienza, rimanendo a carico dei genitori il più possibile;
  • le difficoltà sociali: se alle tre componenti sopra citate aggiungiamo che il mondo di oggi è sempre più duro e frenetico, ci accorgiamo che ragazzi con difficoltà relazionali o problemi scolastici si trovano di fronte ad una scelta, quella di vivere “al sicuro” della propria stanza o affrontare i propri limiti. Purtroppo a volte la paura ha il sopravvento” (2).

Molti pensano che gli hikikomori siano solo dei pazzi, dei malati o dei vigliacchi. Ma la questione non è così semplice. E’ troppo facile colpevolizzare questi centinaia di migliaia di ragazzi senza chiedersi: perché lo fanno?

I ricercatori concludono quindi che, in base alla diversa intersezione di fattori psicologici, sociali e comportamentali, vi sono tre differenti tipi di giovani socialmente ritirati:

■ gli ultradipendenti, che crescono in famiglie ultraprotettive in cui non riescono a raggiungere uno sviluppo psicologico che permetta loro di fidarsi delle persone e di acquisire autonomia. Poiché le loro famiglie provvedono a fornire loro le adeguate risorse materiali, questi giovani hanno poca motivazione a sviluppare autonomia e da ciò deriva un’eccessiva dipendenza dal supporto dei genitori;

■ gli interdipendenti disfunzionali, che sono il prodotto di dinamiche famigliari disadattive che impediscono ai giovani di imparare le regole sociali di base a casa. Ciò porta a delle relazioni sociali poco soddisfacenti con i pari, al rifiuto degli altri e a una tendenza ad essere vittime di bullismo a scuola;

■ i controdipendenti sembrano invece essere caricati da eccessive aspettative genitoriali nei loro confronti, che si associano a notevole pressione nella vita accademica ed educativa e a stress correlato alla carriera lavorativa. Questi giovani sembrano impiegare molto tempo nello studio e nella pianificazione del loro futuro, ma la successiva disoccupazione e la mancanza di opportunità provoca in loro molta frustrazione e un successivo isolamento dagli altri.

Il mondo diventa così un luogo sempre più crudele, sempre più scomodo. Il divario tra ciò che si riesce a fare e a essere e ciò che i genitori si aspettano appare incolmabile: una cosa è la realtà, un’altra è ciò che si desidera e questi aspetti sembra non riescano a incontrarsi. E anche in questo caso emerge la vergogna. Si vergogna il figlio, perché ha deluso i genitori. E si vergognano i genitori di un figlio che è rimasto indietro rispetto agli altri. La propria camera diventa così, a poco a poco, l’unico posto in cui non si sta poi così male. Il posto in cui non si corrono troppi pericoli e ci si sente al sicuro quanto basta per continuare a sopravvivere. Per gli hikikomori, l’isolamento è una via che salva da possibili fallimenti e delusioni e al tempo stesso una silenziosa dichiarazione di resa al mondo.

In generale, a differenza di altri disturbi psicopatologici, che provocano comportamenti esternalizzati ben evidenti alle famiglie e agli operatori della salute, come uso di sostanze o comportamenti sessuali a rischio, i giovani che si caratterizzano per un ritiro dalla vita sociale e lavorativa sembrano essere molto più invisibili e il loro disagio rischia di passare inosservato. Gli studi presenti relativi al fenomeno sono ancora relativamente pochi, in particolare per quanto riguarda la manifestazione del comportamento nelle culture al di fuori del Giappone, e proprio la natura nascosta di questi pazienti rende più difficile la programmazione di future ricerche sul fenomeno.

Per questo abbiamo deciso di parlarne. Di far conoscere e di diffondere. Aiutaci anche tu.

Fai circolare questa serie di articoli: potrebbe essere tuo figlio, tuo nipote o un tuo amico!

Continua con il prossimo articolo.

Vincenzo Abbate

(1) definizione: https://it.wikipedia.org/wiki/Hikikomori

(2) fonte: www.hikikomoriitalia.it

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