ADOLESCENTI, LA TENTAZIONE DELLA MORTE, è colpa di un gioco?

20 Maggio 2017 Vincenzo Abbate

ADOLESCENTI, LA TENTAZIONE DELLA MORTE, è colpa di un gioco?

Appesi ad una corda, volati a occhi chiusi da balconi e finestre, investiti da treni, coi polsi tagliati nella complicità di un momento cercato e meditato da tempo. Giovani come tanti, quasi sempre descritti come tranquilli, ma che nascondono nel cuore un senso di oppressione psicologica raccontano gli psicologi per un mondo “fuori misura”, conviti che la morte li spii ad ogni angolo di strada. La grande tentazione, il gran salto, l’ultima fuga. Il suicidio giovanile si conferma in Europa la seconda causa principale di morte tra gli adolescenti e la prima tra i giovani tra i 25 e i 34 anni.

Stime che potrebbero lievitare ulteriormente se si tenesse conto dei tanti suicidi fatti passare come incidenti stradali o domestici, per un trend mondiale che raggiunge, tra i giovani, la ben poco rassicurante soglia del 20%. A guidare la triste classifica del suicidio giovanile le nazioni industrializzate, in cui il suicidio arriva a essere la seconda o la terza causa di morte tra gli adolescenti e i giovani adulti. In alcuni Paesi come la Finlandia e la Nuova Zelanda, sale addirittura al primo posto.  Non fa eccezione l’Italia, dove ad oggi il suicidio giovanile rappresenta, tra i giovani sotto i 21 anni, la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali, mentre i suicidi adolescenziali costituiscono il 10% dei circa 4000 suicidi totali che si consumano ogni anno. Alcuni soffrono di gravi disturbi psichiatrici, altri di dipendenza (alcool/droghe), altri di gravi malattie, ma la stragrande maggioranza è formata da ragazzi che soffrono di gravi malesseri esistenziali.

La morte per suicidio di un adolescente incarna in maniera paradigmatica l’idea di una sconfitta collettiva. Il suicidio giovanile evoca un’immagine di spreco di una vita interrotta proprio nel momento di una “seconda nascita”.

Non finisce qui. Sempre secondo l’Oms il 40% dei ragazzi che non riesce a suicidarsi e non riceve un trattamento adeguato fa un secondo tentativo (fra il 30 e 50% dei casi). Dati che raccontano un disagio generazionale senza precedenti. I disturbi psichiatrici centrano statisticamente poco. Gli adolescenti italiani, non sono soddisfatti, soffrono di un’infelicità profonda, arrivando spesso a coltivare come unico sogno quello di rompere con una realtà ostile, in segno di protesta.

L’adolescente è affascinato per diverse ragioni dalla realtà della morte, e soprattutto dai suoi effetti: sul sé, la straordinaria anestesia che placa il dolore e il desiderio; sugli altri, l’impatto spaventoso e terrificante del solo alludere alla possibile scomparsa per aggressione violenta ai danni degli altri o di se stessi. L’adolescenza è infatti di per sé quel periodo della vita in cui la morte diviene improvvisamente una possibilità reale e, in quanto tale, viene anche annoverata tra le potenziali vie risolutive di vicende evolutive che molto probabilmente appaiono al soggetto gravi e non immediatamente risolvibili. Sono in molti, forse la maggioranza, ad aver accarezzato qualche fantasia di suicidio durante l’adolescenza.

È sulla base di queste informazioni che si costruisce un immaginario collettivo secondo cui scuole, locali, palestre, discoteche ecc, sarebbero frequentati da un notevole numero di giovani Werther.

Non esiste tuttavia un “tipico” suicida adolescente. C’è anzi nel suicidio adolescenziale un bisogno imperioso quanto paradossale di vita, di esistenza nella mente dell’altro che NON ha riscontri in altri comportamenti. Forse questa è già una debole specificità: il desiderio di presenza, le motivazioni sempre legate al proprio essere profondamente inseriti in un mondo sociale nel quale la propria posizione è debole e dipendente dalla benevolenza per nulla scontata dello sguardo altrui. Accade in famiglia come nel gruppo, nelle prime esperienze amorose come a scuola.

La spiegazione più immediata, e forse la più vera, va ricercata nell’ormai evidente assenza di un quadro valoriale forte. Succede così che i nostri giovani vivano e condividano sempre più diffusamente un senso di precarietà etica tangibilissima, figlia di una realtà sovraccarica di stimoli ma povera di certezze. L’adolescenza è l’età del no, ma i nostri giovani hanno dimenticato come si fa. Ripetono gli esperti. Un’esasperata ricerca di gratificazione di bisogni insostenibili, quelli predicati dalla società dell’immagine e dei consumi, che mette l’adolescente di fronte alla sua personale inadeguatezza rispetto ad una cultura che promette tanto ma mantiene poco, maledettamente inconsistente, in cui la famiglia smette la faccia rassicurante da Mulino Bianco per mostrare il suo ghigno peggiore (divorzi e separazioni), in cui il bisogno di sostegno e riferimenti chiari ed autorevoli si stempera nella superficialità di una trasgressività sociale sempre più omologante, stantia, refrattaria alla novità e al diverso. E c’è già chi intravede una connessione perversa tra crisi economica e la preoccupante impennata dei suicidi tra giovani in Italia e nel mondo.

Il fattore più incisivo nello sviluppo della condotta suicida rimane ancora una volta la famiglia. Successi ed insuccessi dello sviluppo adolescenziale dipendono non solo dai cambiamenti che gli adolescenti compiono ma anche da quelli che i genitori, se attenti, attraversano insieme ai figli.  I giovani italiani sono spesso prigionieri di situazioni familiari ad alto coefficiente patogeno. Assenza di coesione ed integrità del nucleo,  ostilità o indifferenza reciproca tra i genitori e dei genitori rispetto ai figli, condotte affettivi anomale, problemi di comunicazione, scarso ascolto e sostegno da parte dei genitori, eccessiva rigidità dei ruoli, cancellazione delle differenze generazionali, trascorsi di alcolismo e precedenti “esperienze“ suicide in famiglia sono i principali fattori di rischio. I giovani per diventare adulti responsabili, insorgono gli specialisti, devono imparare a prendere le distanze da mamma e papà. Ma spesso, denunciano, i loro genitori si comportano peggio di loro: si rifiutano di invecchiare, si comportano da adolescenti capricciosi, accompagnano i figli nello sballo. I giovani hanno bisogno di certezze. E la prima certezza è che gli adulti sono lì ad aggiustare il tiro, a temperare i loro eccessi.

Altro fattore chiave è quello sociale. È difficile per il giovane non tenere conto del giudizio dei coetanei che, quando porta all’emarginazione, ingenera una sofferenza che può sfociare in atteggiamenti di chiusura e ripiegamento oppure in atti impulsivi e scelte inconsulte. Nell’adolescenza l’identità “fanciulla” viene abbandonata per acquistarne un’altra più matura. In questa fase di transizione si è più fragili e si cerca l’approvazione del gruppo. Se il gruppo è assento o ostile, il livello di vulnerabilità aumenta.

E poi per i Nativi digitali, la persecuzione corre sul web. Branco e rete, un cocktail spesso fatale ai più fragili. I ragazzi di oggi hanno un rapporto diretto con la propria rappresentazione pubblica in rete. Quando il gruppo di pari si sposta on line (social in primis) si ribadiscono i meccanismi classici del bullismo, ma in forma amplificata. La vittima sente che lo scherno assume proporzioni gigantesche ed incontrollabili. Percepisce di essere umiliato in toto, di aver perso la faccia, senza possibilità di riscatto. L’accanimento virtuale ferisce come e più di quello frontale. E può dunque istigare al suicidio.

Si va dal brutto voto a scuola alla delusione d’amore, dalla perdita di affetto al fallimento sperimentato in un settore su cui avevamo puntato, dal rimprovero dei genitori al rifiuto del gruppo dei pari, dal bullismo all’omofobia, dallo stalking e dal mobbing psicologico della classe all’autosvalutazione.

Poi arriva l’allarme Blue Whale Game, nonostante sia un gioco conosciuto dai ragazzi già da qualche tempo. In genere gli allarmi vengono sempre lanciati tardivi e non preventivi, e qualcuno ci specula sopra per avere un clik in più o maggiori visualizzazioni! Con ritardo forse ci si accorge che qualcosa non va e che forse, troppi adolescenti, cadono nella rete di chi è un maestro a manipolarli e a plagiarli, inducendoli anche a fare ciò che in altre condizioni non avrebbero mai fatto. Non si deve focalizzare l’attenzione solo sul Blue Whale perché la tendenza degli adolescenti di cercare il “lato oscuro” del web, di partecipare a giochi online o a challenge di ogni tipo, anche le più pericolose, è consuetudine quasi quotidiana.

Si dovrebbe lanciare più frequentemente l’allarme perché in rete sono presenti numerosi spazi in cui vengono indotti gli adolescenti al suicidio, in cui la vita ha un senso e significato che non dovrebbe avere, troppo labile, che diventa quasi un gioco perverso o una condizione “normale”. Ci sono anche tantissimi spazi dedicati all’autolesionismo, dove si creano delle vere e proprie comunità di rinforzo, dove si sollecitano i ragazzi a farsi del male come soluzione ai problemi, ci sono spazi in cui si spiega come tagliarsi le vene senza uccidersi e altri invece sul come fare per ammazzarsi. Ci si è accorti che forse troppi suicidi, soprattutto in Russia, in espansione anche nelle altre parti del mondo, fossero ascrivibili a questo gioco macabro, nonostante secondo alcuni non sia stata ancora dimostrata la correlazione diretta. In Italia tanti ragazzi lo conoscevano già o meglio lo cercavano: loro cercano cose horror, macabre, particolari, leggono, si fanno condizionare, a volte per fortuna spaventare, si spingono oltre e poi purtroppo può scattare, non solo la curiosità tipica adolescenziale, ma anche l’effetto contagio. Questo è il meccanismo alla base di queste challenge o sfide in rete molto pericolose o di questi giochi macabri.

Tanti invece vanno alla ricerca delle parti più nere del web perché vogliono capire le loro parti più profonde, più oscure, vogliono dare un senso alle cose, risposte e tante, anzi troppe, volte trovano dall’altra parte chi è in grado di cogliere questi segnali di vulnerabilità e chi riesce a dargli quello di cui hanno bisogno in quel momento per addescarli, per portarli a sé e poi fargli un lavaggio del cervello. In rete ci sono veramente una miriade di esche lasciate da questa gente malata e distorta che si approfitta delle fragilità adolescenziali. Come ci fa notare anche la dott.ssa e psicologa Maura Manca sul suo sito www.adolescienza.it,  ci sono sette sataniche, adescatori sessuali, manipolatori mentali, troppi spazi virtuali di perversione e di rischio per i ragazzi che non sono in grado di gestire queste situazioni più grandi di loro perché non hanno ancora gli strumenti adatti.

Infuria altresì la polemica sui ragazzini inquieti di “Tredici” (“13 Reasons Why”), la serie per adolescenti trasmessa dalla tv on demand Netflix, che sta riscuotendo grande successo in tutto il mondo. Perché Tredici? Una ragazza si toglie la vita e spiega le 13 ragioni per cui l’ha fatto in diverse audiocassette è un thriller psicologico. Con la conferma della seconda stagione c’è una grande allerta in tutto il mondo di educatori, psicologi e psichiatri sul modo equivoco e distorto con cui la fiction presenta temi molto delicati come il suicidio. Il rischio emulazione per i giovani è altissimo e potrebbe comportare tragiche conseguenze.

«È dimostrato un aumento dei suicidi tra gli adolescenti quando i giornali riportano un simile caso di cronaca o quando una fiction rappresenta un suicidio: il 3% dei casi sembra essere riconducibile proprio a questo effetto contagio», spiega Benjamin Shain, psichiatra infantile della NorthShore University Health System dell’Illinois, intervistato da Medscape Medical News. «I media lo sanno da anni e per questo è ormai raro che un suicidio venga riportato sulle prime pagine dei giornali: la copertura di questi casi di cronaca tende ad essere un po’ silenziata». Questo codice di comportamento adottato dai giornali sembra invece essere stato dimenticato dagli autori della serie televisiva, che «celebra il suicidio – afferma Shain – e lo presenta come qualcosa che ha a che fare con la vendetta. Lo rende quasi attraente e non menziona mai la malattia mentale o la depressione. Chi può dare aiuto o consulenza viene dipinto come uno stupido e così i ragazzi non vengono incoraggiati a chiedere aiuto alle figure professionali più adatte».

Per questo sono contrario. Diffondere video on line, così specifici, condividere stupide e diaboliche “regole di un gioco”, pubblicizzare suicidi, farne una fiction, darne una descrizione teatrale e dettagliata aumenta in modo ingiustificato il rischio di emulazione tra i giovani più vulnerabili, dal momento che vedono come eseguire queste azioni pericolose e potenzialmente fatali. La rappresentazione del suicidio potrà influenzare un piccolo numero di spettatori, ma le conseguenze possono essere davvero tragiche. Mi preoccupa maggiormente l’effetto contagio e la curiosità, sono numerosi i ragazzi che vanno alla ricerca di contenuti: “Ho visto persone che si tagliano e si disegnano una balena sul braccio”, “Possono arrivare anche a me?”, “Ho visto un video su Youtube e mi sono spaventata”, “Sono curioso, vorrei scaricarlo per vedere com’è”, “Non ne parlo con i miei, altrimenti vanno in ansia e mi sequestrano tutto, smartphone e pc”.

Ora tocca a noi. Non soffermiamoci sul gioco in sé. Anche perché la connessione è ancora tutta da provare. Dietro al suicidio di ragazzi c’è un mondo. Personalità molto spesso fragili, in assenza di figure forti nella loro vita, di speranza per il futuro vedono nel suicidio una via di scampo. Li arriva il bombardamento per loro. Molto spesso da parte di amici, poi attraverso il “nemico della loro anima” che cerca di distruggere questa generazione. Tutti intorno a loro parla di suicidio. Giochi, film, telefilm, libri, chat, spingono i ragazzi alla morte. NOI DOBBIAMO PARLARE DI VITA. All’adolescente bisogna dare sempre speranza. Dire che domani tutto sarà diverso e possibile. Le statistiche dicono che circa il 70-75% dei giovani invia nel periodo che precede il suicidio segnali inconfondibili ai propri coetanei che, se colti, possono salvarli. Amici e compagni di classe rappresentano in questo senso un osservatorio privilegiato. D’altronde si può chiedere aiuto anche senza parole, con gli occhi, senza far rumore. La prima prevenzione sta infatti in una grande cura del dialogo, in un’apertura e disponibilità autentiche all’ascolto da parte sia dei genitori che dei coetanei, perché il rischio maggiore, si sa, è il silenzio.

Amare. Dare Ascolto. Osservare. Questa è la chiave per aiutare questa generazione. Bisogna OGNI giorno dire loro che valgono e che sono importanti. Parlare del nostro Grande Eroe che con la Sua morte ci ha portato la Vita: “Io Sono venuto a dare la Vita, e a darla in Abbondanza” , perché IO SONO LA VITA: GESU’! Ed infine, ricordiamoci sempre che la TENTAZIONE NON SI COMBATTE, dalla tentazione SI FUGGE!

SCAPPA DA TUTTO QUELLO CHE PARLA O TI RICORDA DI MORTE, CELEBRA LA VITA!

Dio ti Benedica

Dott. Vincenzo Abbate
Adolescenze Estreme 

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