Tredici. Non è il totocalcio. E’ in arrivo la seconda stagione di Tredici, la serie in streaming lanciata da Netflix che in pochissimo tempo ha avuto un enorme successo tra i più piccoli. Non solo bullismo e cyberbullismo, puntata dopo puntata si apre uno spaccato realistico del mondo adolescenziale di oggi. Tra bambini, che non avrebbero dovuto vederla da soli, e adolescenti, ha letteralmente spopolato. Ragazzini che si sono abbuffati in pochissimi giorni di tutte le puntate, un fenomeno diffuso che prende il nome di Binge Watching che nasce dall’esigenza di evitare lo spoiler ossia che venga rovinata la visione da chi ha già visto la serie e racconta cosa accade nelle puntate successive. Obiettivamente, il fatto che sui social media non si parli di altro, alimenta prepotentemente il Binge Watching.
Purtroppo, troppi genitori non sono a conoscenza dei limiti di età esistenti anche nelle serie in streaming ormai diventate cibo quotidiano per bambini e adolescenti. Ricordo che se c’è un limite di età, c’è anche una motivazione sottostante, significa che i contenuti non sono adatti allo sviluppo psico-emotivo del bambino o del ragazzo, e non ha ancora sviluppato la capacità critica quindi non è ancora in grado di contestualizzare e di comprendere il vero significato di ciò che sta guardando.
Il problema è che, ai giorni nostri, aggirare il divieto è facilissimo e vietare NON serve più a niente. Se non lo guardano a casa lo fanno da qualsiasi altro dispositivo di un loro coetaneo. Un bambino e adolescente senza un filtro si trova sempre.
Facciamo un passo indietro e ripercorriamo velocemente la storia di Tredici. La serie è basata su di un libro che è stato scritto 10 anni fa, nel 2007. Jay Asher ha scritto il romanzo, che è rimasto nella lista dei bestseller del New York Times per otto anni consecutivi. Universal Pictures ha acquistato i diritti cinematografici del romanzo nel 2011, ma non è stato utilizzato fino al 2015, quando è stato annunciato che Netflix e Paramount Television stavano realizzando una miniserie con Selena Gomez e sua madre Mandy Dawn Cornett come produttori esecutivi.
Nella prima stagione, composta appunto da tredici episodi, veniva raccontata la storia di Hannah, studentessa del college che si toglie la vita a causa del bullismo e del cyberbullismo e che spiega in 13 audiocassette le ragioni che l’hanno spinta a tale gesto, accusando man mano tutti i suoi bulli e accompagnandoli con le sue parole in un processo di consapevolezza del suo dolore silente e del peso delle loro azioni.
Nella seconda stagione, si scoprirà cosa rimane del bullismo, cosa accade ai bulli, la colpa della scuola e il ruolo che deve assumere, cosa accade nella testa dei bulli e di chi rimane, quali provvedimenti vengono presi. La parte più toccante sarà quando i genitori di Hannah, vittima del branco, scoprono tutto e rivivono passo dopo passo, ascoltando le cassette e le parole della figlia che non c’è più, il calvario vissuto senza che loro si accorgessero di niente.
La serie ha fatto molto parlare di se. Ha ritratto un mondo adolescenziale non sempre permeato da spensieratezza e felicità, ma dandoci lo specchio reale, mostrando problemi, disagi, incomprensioni, superficialità, isolamento, dubbi, incertezze e sofferenze di quei ragazzi che non comunicano il loro mondo interiore fino a che, come i fatti di cronaca spesso ci raccontano, non arrivano ad essere talmente pressati o a compiere gesti estremi come il suicidio, avvolti dall’abbraccio del silenzio, del non essere visti e dell’incomprensione.
Comunque, è importante sottolineare che una serie NON istiga tutti al suicidio, come alla violenza, ma può influenzare, soprattutto se il terreno psichico è già fertile e i semi della violenza, sia rivolta verso gli altri, che verso se stessi, sono già piantanti.
Da un lato il mondo degli adulti dovrebbe vedere la serie 13 proprio perché troppi adolescenti non parlano con i genitori se non di scuola e di ciò che accade in superficie. Perché vedere ciò che vedono i loro occhi significa vicinanza e cercare di capire cosa passa nella loro testa lontana anni luce dalla nostra preistorica adolescenza. Significa entrare nel loro mondo.
Troppi genitori si sono rifiutati di vederla perché cruenta. Attenzione, questo è un errore perché ciò che è rappresentato nelle immagini è uno spaccato realistico del mondo adolescenziale di oggi troppo insito di pericoli. I figli tanto la guardano anche di nascosto, anche attraverso gli smartphone degli amici. Al giorno d’oggi non è vietando che si proteggono dal bombardamento mediatico, è entrando in guerra al loro fianco. In rete ci sono spaccati di video, pagine sui social, non potranno mai essere immuni da tutto ciò che li circonda. L’unico modo per intervenire efficacemente è affrontare il problema e discuterne insieme a loro o comunque far vedere che si conoscono i contenuti di questa serie come di altre e come dei giochi e di tutte le attività in rete. Anche gli insegnanti non dovrebbero essere immuni da questo compito. I ragazzi devono sapere di avere davanti a loro degli adulti di riferimento con i quali eventualmente confrontarsi. Ogni volta che i ragazzi capiscono che un adulto è in grado di accoglierli e di dargli risposte settate su di loro, non paternali fini a se stesse, domandano e chiedono. Hanno bisogno di risposte, di risposte concrete, non campate per aria. Se si sminuisce ciò che fanno e come sminuire ciò che sono. Questo è il loro filtro, per questo di chiudono.
La serie, non solo mostra in maniera chiara, diretta ed efficace come si possa rimanere incastrati nella rete dei bulli e dei cyberbulli in maniera inconsapevole e superficiale, ma ha anche sviscerato altri temi delicati, come la violenza sessuale, la depressione, la diffusione di materiale intimo in rete, l’abuso di alcol e sostanze stupefacenti, tematiche che non sempre vengono affrontate adeguatamente che purtroppo sono all’ordine del giorno.
Eppure, si tratta di fenomeni che dovrebbero far riflettere sia i giovani sia coloro che si rapportano a loro, come gli adulti di riferimento e quel mondo circostante che rischia a volte di non accorgersi di quanto sta accadendo, di certe dinamiche pericolose, delle possibili conseguenze e dei vissuti silenti che i ragazzi possono portarsi dentro.
Cosa bisogna sapere e a cosa bisogna fare attenzione?
La serie mostra uno spaccato talmente realistico che i ragazzi si identificano facilmente nei personaggi, ciascuno con una propria problematica. Il problema non è il tema del suicidio trattato esplicitamente perché sui canali social sono bersagliati di immagini di autolesionismo e suicidio. In ogni serie che guardano ci sono sempre immagini di auto aggressività perché il triste ritratto di uno scenario reale, anche se non lo vogliamo, è così. Il rischio è, piuttosto, quello di osannare la vittima di suicidio, quasi come a trasmettere il messaggio che non ci fosse altra via di uscita e che si possa riuscire a smascherare bulli e colpevoli solo con la propria morte.
Sarebbe importante che i più piccoli non la vedano da soli, in quanto non hanno ancora sviluppato quelle competenze cognitive e relazionali per comprendere i contenuti in autonomia e gestirli da un punto di vista emotivo e psicologico. Li teniamo il più possibile dentro la bolla dell’iperprotettività genitoriale e poi li diamo in pasto ai social rendendoli ancora più privi di strumenti.
C’è un’adultizzazione precoce dell’infanzia da un punto di vista cognitivo e una infantilizzazione dell’adolescenza da un punto di vista emotivo.
Ciò che serve ai ragazzi è un filtro.
L’organizzazione Parents Television Council ha chiesto a Netflix di posticipare la data di uscita in streaming della seconda stagione della serie Tredici. Il gruppo vorrebbe infatti che alcuni esperti avessero il tempo di visionarla per “determinare se la sua visione è sicura per un pubblico che comprende prevalentemente i minorenni“.
Netflix, per verificare il modo in cui gli adolescenti e i genitori hanno reagito alla visione della serie, ha commissionato uno studio che ha portato all’ideazione di un video introduttivo che sarà posizionato all’inizio di ogni puntata in cui il cast ricorda la natura della serie e indica a chi rivolgersi se ci si trova ad affrontare situazioni simili a quelle vissute dai personaggi. L’American Foundation of Suicide Prevention ha inoltre creato una guida utile a discutere del contenuto delle puntate e in streaming sarà disponibile anche un aftershow a cui parteciperanno gli interpreti, i produttori e alcuni esperti con lo scopo di affrontare e spiegare i temi mostrati nelle puntate.
I portavoce di PTC hanno però richiesto altri interventi sottolineando: “L’impatto della prima stagione, che si è conclusa con la scena del suicidio dell’adolescente protagonista, è stata potente e intensa: milioni di ragazzi l’hanno guardata, la ricerca su Google della frase “come suicidarsi” è aumentata del 26% e ci sono state delle notizie che riportavano come alcuni ragazzi si siano tolti la vita dopo la sua distribuzione. Non potremmo mai sapere la reale portata di quanto grave sia stata la sua influenza, ma sappiamo che è bastata a far commissione a Netflix una ricerca riguardante il suo impatto sulla vita degli spettatori, in particolare sui più giovani“.
Il mondo degli adulti non può più restare a guardare tutto quello che accade in questa generazione.
I dati sulla depressione degli adolescenti sono da paura. Troppi sono soli. Spesse volte ci si rintana nella console di videogiochi, su Internet, nelle serie Tv appunto, e netflix su tutte, ci si isola dal mondo da cui ci si sente incompresi. In questi casi è molto frequente anche l’uso o abuso di sostanze stupefacenti o bevande alcoliche che aiutano a non pensare alla sofferenza. Un dato allarmante è che anche il tasso di suicidi dovuti spesso a EPISODI DEPRESSIVI NASCOSTI è in crescita esponenziale, che è la seconda causa di morte tra i giovanissimi.
Attenzione! Quando non si riesce più a trovare una via d’uscita, nei casi più gravi, se non si hanno riferimenti affettivi stabili e il giusto supporto genitoriale, la depressione può portare al suicidio.
Allora cosa fare ti starai chiedendo?
Prima di tutto non sottovalutiamo il problema. Come genitori, educatori, responsabili di Scuola domenicale, o anche Pastori dobbiamo capire che davanti a noi abbiamo una delle più grosse sfide mai vissute nelle ultime generazioni. Questo non ci deve portare né a generalizzare, né a minimizzare le problematiche che il singolo ragazzo può avere.
Per fare questo abbiamo bisogno degli Occhi e del Cuore di Gesù. Occhi perché questa generazione va OSSERVATA è li che capiamo le difficoltà, i problemi e i momenti che passano, è lì che il mondo degli adulti deve fermarsi e non minimizzare il problema, la delusione, la ferita che un ragazzo può passare, anche se per noi può essere una stupidaggine dobbiamo come adulti imparare a rispettare il loro mondo. Il Cuore che Gesù aveva lo dobbiamo avere anche noi: questa generazione va amata. Ma per amarla dobbiamo onestamente rispondere ad una domanda: ci sta veramente a cuore? Che significa: “Ho tempo per te?”, “sono pronto ad ascoltarti, senza giudicarti?” “mi interessa la tua opinione?” ecc.
Abbiamo una grande sfida davanti a noi ma nello stesso tempo un’enorme potenziale. Dove c’è solitudine portiamo amicizia e compagnia. Dove c’è tristezza Gioia. Dove c’è dolore, serenità. Dove c’è confusione, Orientamento.
La Famiglia e la Chiesa possono diventare l’occasioni per le giovani generazioni di Alzarsi e dimenticarsi di Tutto. Gesù lo Vuole. Noi siamo pronti?
Dott. Vincenzo Abbate
Fonte: adolescienza