Un pomeriggio come un altro in una casa come un’altra in Inghilterra. Susie e suo figlio Jack di 4 anni sono accoccolati sul divano a guardare un film Disney.
Ad un certo punto Jack si gira verso sua madre e le dice “Mamma, Dio ha fatto un errore: io avrei dovuto essere una ragazza”.
Come racconta il Mirror, la donna era terrorizzata, sapeva che suo figlio amava le cose tipicamente da bambina, come il film che stavano vedendo insieme: la sirenetta. Sì, Susie pensava che probabilmente Jack fosse gay, ma non aveva mai immaginato che il suo bambino volesse essere una bambina. La storia (vera) di Susie, di suo marito e di Jack – ora Jackie – è una delle tante che ha ispirato la miniserie tv Butterfly, in onda a dicembre su Fox e presentata in anteprima assoluta al Fest di Milano
A partire da dicembre sarà trasmessa da Fox.
Butterfly in tre episodi da 55 minuti racconta la complessa relazione di una coppia di genitori separati Vicky (Anna Friel) e Stephen (Emmett J. Scanlan). I due si trovano ad affrontare la richiesta di avviare il processo di cambio di sesso da parte del figlio 11enne Max (interpretato da Callum Booth-Ford), che fin da piccolissimo si sente una bambina intrappolata in un corpo maschile.
Il primo episodio, andato in onda in Gran Bretagna su Itv il 14 ottobre scorso, ha incollato al televisore 2 milioni e 800 mila telespettatori. Prima della messa in onda della mini serie, diverse persone hanno espresso le loro obiezioni sul web e sui social network, mentre la serie ha ottenuto il sostegno dei transgender inglesi, che considerano la serie un “game-changer”. Gli stessi produttori di Butterfly credono che il drama aiuti a migliorare la comprensione della condizione transgender, anche se non pensano possa aiutare per una diffusa accettazione della stessa condizione.
Ci sono state, naturalmente, una miriade di insidie nel trasformare una questione così emotiva in intrattenimento in prima serata. Se il telespettattore si può commuovere per gli atti di bullismo e l’isolamento nella vita di tutti i giorno a scuola che Max, il protagonista della serie, subisce, d’altra parte, non c’è riguardo e rispetto per il pubblico e le opinioni diverse sul tema. Butterfly, inoltre, mostra i tentativi di autolesionismo di Max e i trattamenti ormonali controversi offerti ai bambini transgender.
Un family drama che ha come target non solo chi è coinvolto direttamente in una esperienza del genere, ma per tutti, perché ruota attorno al concetto di identità “Qui non si parla solo della T di LGBT” ha tenuto a precisare Francesca Vechioni di Diversity Lab “ha a che fare con le grandi domande che ci facciamo tutti oggi chi sono io? Riesco a rappresentare esteriormente la mia interiorità? Come vivo la società? Butterfly ci costringe a riflettere sul rapporto tra genitori e figli, tra noi e la società, tra noi e noi stessi”.
La serie tv riprende molti particolari della storia di Susie e Jackie, come quando il bambino all’acquario rimane incantato ad osservare una sirena che nuota nelle vasche. Butterfly non cerca però di nascondere le difficoltà o di celare il problema della famiglia dietro una battuta, ti arriva addosso con tutta la sua violenza come quando Max – che sogna di essere Maxine – rivela al padre che vorrebbe che il suo pene cadesse. Un padre disperato, confuso e arrabbiato che vorrebbe solo che il suo Max amasse giocare a calcio e non andasse in giro per casa con un top rosa. Una madre che si colpevolizza perché desiderava una bambina mentre era incinta. E lo spettatore che si interroga, come i genitori della serie tv, se sia corretto pensare di intraprendere un percorso farmacologico facendo assumere ad un bambino, forse ancora troppo piccolo per andare sulle montagne russe, delle sostanze in grado di rallentare e bloccare la pubertà.
I produttori, per le consulenze sulla serie, si sono rivolti all’associazione inglese Mermaids, che sostiene i transgender e la variazione di genere per i bambini. Susie Green, presidente dell’associazione e membro di Mermaids da 15 anni, ha lavorato con gli attori e i produttori, collaborando alla sceneggiatura. Alla Bbc la Green si è dichiarata “felice del risultato”, definendo “enorme per la comprensione dei trans” la miniserie, pur ammettendo qualche licenza artistica…
Non sono state così positive le prime reazioni in Italia. Filippo Savarese, Campaign Director presso CitizenGO, è sul piede di guerra. “L’ideologia Gender adesso usa i bambini per arrivare ai bambini stessi. Lo scopo è confondere del tutto la loro identità sessuale, e diffondere l’idea totalmente antiscientifica che si possa essere ‘maschi intrappolati in corpi da femmine’ o viceversa. Questa è la sensazione di chi è affetto da disforia di genere, ma è completamente assurdo rafforzare questa idea se si presenta nei bambini piccoli, che devono ancora svilupparsi pienamente e che sono spesso influenzati proprio dal mondo degli adulti, dalla televisione o dalle teorie sgangherate in cui sono caduti i genitori. Proporre di bloccare lo sviluppo ormonale dei minori per fargli scegliere se essere maschi o femmine prima di diventarlo effettivamente è un qualcosa di semplicemente criminale”, ha dichiarato a Il Giornale.
CitizenGO Italia “farà la guerra a questa colonizzazione ideologica, ma tutti i genitori devono capire che la televisione, il tablet, lo smartphone e qualsiasi cosa mettano davanti ai figli oggi è un vero e proprio Cavallo di Troia”.
Credo che anche la Chiesa debba prendere una chiara posizione. Il nemico sta cercando in ogni modo di influenzare questa generazione partendo proprio dai più piccoli. È tempo cha alziamo un “muro di protezione”, sulle nostre famiglie. Sono tantissime le serie anche su netflix, che i ragazzi guardano continuamente in cui alcuni valori Cristiani vengono annullati o ridicolizzati.
Facciamo molta attenzione a cosa i ragazzi guardano. Ritengo che la serie Butterfly sia abbastanza pericolosa, soprattutto nella nostra generazione. In un epoca in cui c’è forte la crisi d’identità, dove il concetto famiglia sta pian piano sparendo, dove alcuni film, romanzi, e serie tv cosi promossi a livello mediatico non fanno altro che influenzare i ragazzi o comunque deviarli nel percorso naturale che Dio ha scelto per loro.
Poniti sempre queste 4 domande quando “lasci” tuo figlio davanti ad uno schermo di una tv, tablet o videogame:
- Cosa impara mio figlio da questo programma?
- Quale tipo di personaggio cerca di proporre a mio figlio questo programma?
- Come viene rappresentata la famiglia in questo programma?
- Questo programma è coerente con i nostri valori?
Siamo chiamati ad essere noi la fonte dei nostri figli. Non lasciamo questo compito a google, o solamente ai responsabili di Chiesa, o a concetti del tipo: “deve fare le sue esperienze” o “Dio sa”.
La bibbia dice: Se “L’eterno non edifica la casa, invano si affaticano gli edificatori”. È Dio che edifica. Ma noi siamo chiamati a fare la nostra parte e ad “affaticarci” affinché la nostra Casa venga edificata da Dio!
Vincenzo Abbate
Adolescenze Estreme